Tutta colpa di mamma, zia e dell’amore

di Genio Chiara

Quando è cominciato? Più o meno nel duemila. Avevo sedici anni. No, cazzate: molto prima.

Ero bambino e ammiravo una coppa grande quanto il mondo, messa lì in bella vista nel salotto di mia nonna. Era un premio letterario come si vedevano parecchi anni fa, non come gli attestati di partecipazione di oggi. L’aveva vinta mia zia. E io, specchiandomici sopra, pensavo: quanto mi piacerebbe vincere una coppa del genere. Ma la poesia? No, la poesia proprio non mi andava giù.
Di mia zia ricordo un tema scritto insieme, sulla luna e il sole. Per me è sempre stata un mito e trent’anni dopo sto ancora qui ad ammirarla e incoraggiarla. Per colpa sua / grazie a lei sono tornato ai blog. Ricordo anche un film dell’orrore che vedevamo insieme, sulla peste nel medioevo, dove le streghe volavano in notti tempestose circondate dal bagliore di lune giganti. Avevo sei / sette anni, non più di otto. In una parete della sua stanza, che poi diventò la nostra, in quei lunghi pomeriggi ad aspettare che mamma e papà tornassero dal lavoro, lei aveva dipinto una sorta di “coreografia” e scritto con il pennello, in francese, un piccolo pezzo di storia. C’era un bambino che volava via da un castello, sopra il mare, appeso ad un palloncino. Ci ho fantasticato per tutta l’infanzia.

Poi sono cresciuto e non ho avuto molti incoraggiamenti. Le insegnanti che ho incontrato nella mia carriera scolastica non hanno fatto altro che sminuirmi ma non mi piango addosso per questo. Lo ammetto: avrei potuto imparare molte cose in più se solo avessi avuto un quarto della maturità che ho adesso. Ma non si può dare la colpa ad un bambino. Io pensavo che l’unica cosa divertente al mondo fosse giocare con la playstation, andare al tennis tre volte la settimana, leggere di tanto in tanto qualche libro di Stephen King regalatomi dalla mamma. No, i bambini non c’entrano, hanno dentro pigrizia e incoscienza, sono privi di malizia e non pensano al futuro. La colpa è di qualcun altro, e io l’unico responsabile che riesco a trovare, per me e per tutti, è il sistema. Bisognerebbe rivoluzionarlo dal primo giorno di scuola all’asilo fino all’ultimo delle superiori, perché è evidente che non funziona: l’Italia non sarebbe ridotta così male e noi avremmo delle speranze per i nostri figli. Invece niente, le nuove generazioni sono più vuote del mio cassetto dei sogni.

Ma tornando alla scrittura, a come penso sia nata dentro di me l’esigenza di raccontare: ero alle medie quando trovai un fascicolo di fogli bianchissimi, macchiati da perfette macchie d’inchiostro nero chiaro. Erano scritti a macchina quasi sicuramente, non esistevano i computer di oggi. Ed erano scritti da mia madre. Non tanti, giusto una decina. Io non li ho mai letti per la paura contenessero qualche verità sublime, troppo complicata, tanto sconvolgente da sconquassare l’Universo. Erano sacri.

Di tanto in tanto però gli davo una sbirciatina. Ricordo tra le tante una frase in cui Lei, mia madre, la persona che mi ha messo al mondo e che per prima mi ha incoraggiato a leggere, avrebbe dovuto scriverle le cose che le sono capitate, avrebbe dovuto provare a scriverne un romanzo. Non so se l’abbia fatto, sommersa com’era (e com’è) dalla vita, il lavoro, i tre figli. Non credo e non credo ne provi il rimorso. La “chiamata” ti fa andare oltre, se avesse voluto l’avrebbe fatto (lo penso anche di me stesso: quando vorrò lo farò) e comunque ha ancora tanto tempo per riprendere. Scrivere è come andare in bici.
Da allora passarono almeno cinque anni prima che io prendessi in mano carta e penna e cominciassi a scrivere in un diario. Si comincia sempre da lì, no?! Era l’ottobre dei miei sedici anni, iniziava l’autunno della mia adolescenza. Quell’estate avevo conosciuto una ragazza che è stata la mia prima vera cotta con tanto di bacio in spiaggia sotto le stelle. In quel diario scrivevo di lei, di quanto mi mancasse, delle cose che avrei voluto dirle. Nel duemila stavamo distanti come non potranno mai più esserlo due ragazzini di sedici anni oggi. Cominciò l’inverno e l’amore si raffreddò, si sciolse nella pioggia.

Scrissi nel diario che dovevo trovare una persona per giocare un po’, senza pretese, solo divertimento! La trovai nel febbraio del 2001 e ci rimasi per tre lunghissimi anni. Mi innamorai di lei perché scriveva. E la lasciai tre anni dopo perché del suo entusiasmo verso la vita non rimaneva più nulla. Capita.

E´stata lei a farmi conoscere la struggente forza delle parole. Aveva un passato tragico, pieno di ricordi opprimenti. La sua scrittura era evocativa e impregnata di punti di sospensione. Io volevo imitarla ma non avevo una storia tragica alle spalle, tutt’altro. Invidiavo avesse scritto un intero floppy (mica esistevano le microsd) di testi, racconti, lettere. Parlava di elfi e di seviziatori nascosti dentro una foresta, roba forte per una diciassettenne. Le sono riconoscente più per un regalo che mi ha fatto che per gli anni trascorsi insieme: Siddhartha di Herman Hesse. Avevo già letto il Piccolo Principe ma in confronto era niente, una passeggiata moralista contro una rivoluzione mistica.

Diventai amico di Hesse, ma anche di Tolkien, Pennac, Dostoevskij, Tolstoj.

Ricordo di aver provato un grande senso di solitudine allora. Ero l’unico che amasse leggere come li chiamavano ah si certi mattoni? Chi altro scriveva? A chi potevo far vedere i miei racconti? Nella realtà a nessuno, non ero pronto, avevo paura dei giudizi, non potevo espormi, ma esisteva da poco un altro luogo in cui sarei potuto essere chiunque: internet.

Cominciai a frequentare un circolo letterario su Chatta.it. C’erano altri ragazzi della mia età che avevano la passione verso i libri e la scrittura. In quel luogo virtuale ho conosciuto alcune persone che sono diventate fondamentali per la mia crescita personale, che tengo ancora oggi strette al cuore come beni insostituibili. Scrivevamo di tutto, da racconti a riflessioni letterarie, insulti, provocazioni. Il circolo letterario di un sito per chattare cominciò a starci stretto ed era nata da poco una piattaforma che consentiva ad ognuno di noi di avere il proprio spazio, ma anche spazi condivisi.

Era Splinder e quegli spazi venivano chiamati blog.

Io ci entrai agli inizi del 2002 e portai avanti il mio blog, La città di Cartapesta, per quasi dieci anni. Ho cominciato da lì il mio viaggio alla ricerca della perfezione. Oggi di quelle parole poi svanite nel nulla virtuale è rimasto soltanto un libro segreto che custodisco come una reliquia.

Non bastava, la mia generazione non è cresciuta davanti ad un monitor. Avvertivamo l’esigenza di incontrarci, parlare faccia a faccia, tenerci la mano guardando Roma dall’alto o scolarci una bottiglia di porto e vomitarla sugli scalini delle strette vie di Napoli. Grazie a quelle persone cominciai a viaggiare. Il viaggio per me oggi è una sorta di ossessione, vivo pensando di partire ogni secondo della mia giornata, un richiamo più potente della letteratura.

Un viaggio, Narciso e Boccadoro di Hesse, e quel fottuto figlio di puttana di Sal Paradise mandarono all’aria la mia prima relazione seria, tre anni dopo per l’appunto.

Quelli che seguirono furono anni dissoluti. Leggevo Kerouac e gli altri della beat generation e invidiavo la perdizione degli anni cinquanta. Ho passato più tempo in centro a bere birre che sul pc a scrivere. Sono arrivato al punto in cui non riuscivo più ad ubriacarmi nonostante i litri di alcol ingeriti e la mia ricerca verso la perfezione esistenziale si è ridotta ad un esaltante stato mentale alterato.

Avevo dimenticato Stephen King, avevo dimenticato che entro i ventun’anni avrei voluto pubblicare il mio primo libro come aveva fatto lui, di voler vivere scrivendo. Le parole che riuscivo a mettere una dopo l’altra non mi hanno mai fruttato un solo centesimo, in cambio però mi hanno fatto conoscere molte ragazze. Mi bastava, credevo fosse quella la perfezione.

Nel contempo lavoravo mezza giornata presso l’azienda di famiglia e studiavo economia. Mi sono laureato a fine ottobre del 2007 e nel novembre dello stesso anno ero già iscritto all’Università di Lettere. Volevo una seconda laurea nel campo umanistico ma precipitavo sempre di più nel vortice della perdizione quando agli inizi del 2008 finalmente arrivò la mia principessa azzurra che mi tirò via dalla strada. Sul comodino c’era Chiedi alla polvere di John Fante, non potevo che innamorarmi perdutamente. E poi si sa che l’amore è più salutare di una bottiglia di vodka liscia.

Credo sia quando incontri il vero amore che decidi di mettere la testa sulle spalle. Ho lasciato ogni velleità letteraria, l’università, la strada, persino i libri, e mi sono messo sotto a lavorare per costruire la mia famiglia. Tempo indeterminato, miei cari. Significa a vita. Pensavo fosse finita, ma non ero triste. Infondo erano passati quasi altri dieci anni dai ventun’anni e non avevo mica concluso nulla con la scrittura.

Oggi sono sposato da quattro anni e ho un bambino meraviglioso da tre. Nei primi mesi della sua vita ho tenuto un blog che descriveva le nostre giornate. L’ho chiuso quando mi sono reso conto che non sarebbe bastato per spiegargli chi è suo padre. Voglio ancora scrivere? Oh si, dannazione. Voglio scrivere per gli altri e voglio farlo per lui. Questo sentimento mi ha spinto a cercare qualche corso di scrittura creativa online, due anni fa. Riprendere la ricerca, farlo nella maniera giusta.

Ho scoperto che iscriversi ad un corso del genere costa parecchio: dai trecento ai mille e passa euro e io non posso permettermeli. Allora ho cominciato a leggere i testi consigliati nei programmi.

Il primo è stato Story di Mckee, poi Anatomia di una storia di John Truby, poi tanti altri e ho acquisito finalmente la consapevolezza degli strumenti del mestiere.

Mi mancava il tempo per scrivere, mettermi d’impegno per creare, ritagliare i miei spazi senza toglierne al mio bimbo, mia moglie e al mio lavoro. Non è stato facile.

La stramaggioranza delle persone si arrende alla frase comune del non ho tempo. Io il tempo l’ho trovato la mattina presto. Alle sei e venticinque suona la sveglia, alle sei e mezza sono davanti al pc e ci rimango incollato per almeno un’ora al giorno, sei giorni su sette.

Oggi sono felice e sto cercando di realizzarmi anche attraverso la scrittura. Sto provando a scrivere una storia, sto leggendo molti più libri, ho ripreso il blog e creato il circolo16 per condividere con gli altri la passione letteraria. Tutto questo senza una motivazione enorme non potrebbe esistere. Perché scrivo? Cosa mi spinge ad andare avanti? Non è la voglia di fama, di soldi, di essere letto da milioni di persone. E´ l’amore. La forma di amore più puro e incondizionato che esista in tutto l’universo. Lo faccio per lui e perché un giorno possa girarsi indietro e ritrovare me in fascicoli di fogli bianchissimi, macchiati da piccole macchie d’inchiostro nero chiaro. Esistono forse cose più perfette?

daniela giuffrida

Autrice - International Member – GNS PRESS ASSOCIATION Scrittrice e Blogger freelance. Collabora con alcune testate on-line nazionali e siciliane. Attivista No Muos. Di cuore siciliano, instancabile attivista e documentarista delle lotte sociali, degli accadimenti della propria terra e non solo.

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