MUOS – IN NOME DEL POPOLO ITALIANO… E ABUSO “LEGALIZZATO” FU!

Di Daniela Giuffrida

“In nome del popolo italiano, visti gli artt. 442 e 530 del Codice di Procedura Penale assolve Arnone Giovanni, Gemmo Mauro, Valenti Concetta e Puglisi Carmelo dal reato, loro in concorso ascritto, perchè IL FATTO NON SUSSISTE… “

Un verdetto, per comunicare il quale, il giudice della sezione penale del tribunale di Caltagirone, Cristina lo Bue, ha impiegato meno di un minuto: una manciata di secondi che avrebbe potuto segnare una svolta nella storia delle parabole americane e delle lotte per evitarne l’installazione. Pochi secondi che avrebbero potuto finalmente fare GIUSTIZIA, in una “causa” nella quale di Giustizia non si è mai vista traccia: ma anche questa volta, così non è stato!

Lo scorso 7 febbraio il procuratore di Caltagirone Giuseppe Verzera, nella prima udienza del processo contro i responsabili dei lavori eseguiti all’interno della stazione satellitare NRTF di Niscemi, aveva richiesto il sequestro della struttura MUOS, pene pecuniarie di 20.000 euro e un anno di arresto per ciascuno dei 4 imputati che avevano deciso di sottoporsi al rito abbreviato nel processo per abusivismo edilizio e violazione della legge ambientale.

Secondo l’accusa, i tre imprenditori – il presidente della “Gemmo Spa” Mauro Gemmo, e i titolari delle due imprese di subappalti che eseguirono i lavori Carmelo Puglisi e Concetta Valenti – avrebbero realizzato l’impianto “senza la prescritta autorizzazione. L’ex dirigente dell’assessorato Ambiente e Territorio, Giovanni Arnone, invece avrebbe consentito l’installazione delle tre parabole del MUOS in un sito ricadente in “zona A”, sottoposta ad inedificabilità ASSOLUTA.

Ma i due artt. citati parlano chiaro (SIC!) e se è vero che il 442 del Codice di Procedura Penale afferma che “Terminata la discussione, il giudice provvede a norma degli articoli 529 e seguenti.” e quindi lo stesso (giudice) utilizza gli atti contenuti nel fascicolo (di cui all’articolo 416, comma 2), la documentazione (di cui all’articolo 419, comma 3), e le prove assunte nell’udienza. E stabilisce che “In caso di condanna, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita di un terzo. Alla pena dell’ergastolo è sostituita quella della reclusione di anni trenta. Alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, è sostituita quella dell’ergastolo.” ecc… non si capisce dove siano finiti tutti gli elementi prodotti dalla Procura calatina e, se sono stati valutati, in che misura lo siano stati.

E allora interviene l’altro articolo citato dal giudice monocratico, il 530 di CPP il quale stabilisce che:
1. Se il fatto non sussiste, se l’imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un’altra ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo.
2. Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile.
3. Se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è dubbio sull’esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione a norma del comma 1.
4. Con la sentenza di assoluzione il giudice applica, nei casi previsti dalla legge, le misure di sicurezza [537].

Tutto chiaro?

Poi una NOTA allo stesso art. 530, mette luce su tutto: “L’ impossibilità di giungere ad un accertamento della colpevolezza conduce alla pronuncia di una formula che corrisponde ad un accertamento positivo dell’innocenza: ciò discende dall’esigenza di annunciare la causa dell’assoluzione nel dispositivo, come prevede il comma 1.”

Ora si!

Certo ci sarà svelato il mistero su quanto è successo dietro le quinte di quell’aula di tribunale, quando verranno depositate le “motivazioni”; nel frattempo, le sole certezze ci arrivano dalle facce scure dei nostri avvocati, dall’alzarsi e andarsene, appena ascoltata la sentenza, del Procuratore di Caltagirone il quale, senza proferire parola, ha lasciato l’aula. Inutile raccontare dello sbalordimento misto a sconforto e rabbia che si è diffuso fra gli attivisti e i rappresentanti di alcune associazioni presenti all’udienza (Ass. Antimafie Rita Atria in testa, ARCI, “Mamme No Muos” di Caltagirone presenti in aula e “Mamme No Muos Sicilia” presenti in aula in mattinata quindi raggiunte telefonicamente, immediatamente dopo la sentenza.). Fra le reazioni degli attivisti, quella di Giuseppe Maida il prof niscemese autore da oltre 10 anni, di decine di manifestazioni e denunce. Questi si è detto fiducioso nell’operato del Procuratore Verzera e certo che “questa brutta storia” non finirà così.

“Gli attivisti No Muos non intendono “mollare” la lotta, anzi – ci racconta Milena, attivista di Caltagirone – certamente bisognerà riorganizzarci e dare nuova vita al movimento No MUOS, che mai si è spento, neanche nei momenti peggiori!” Nel pomeriggio, attivisti provenienti da diversi centri del calatino si sono riuniti in una pacifica dimostrazione di dissenso, nei pressi dell’ingresso del tribunale, armati come sempre solo di bandiere NO MUOS.

Personalmente, ho trovato per niente rassicurante l’aria serena e pacata, per nulla preoccupata dell’ex funzionario regionale Arnone il quale, già in mattinata, si era detto sereno perchè tutto era “legale”, le firme, i pareri e anche le autorizzazioni… quali? Speriamo venga tutto quanto chiarito dalle motivazioni che verranno depositate entro 90 giorni a partire da ieri e poi in fase di quell “appello” che, certamente, verrà richiesto dai legali di parte “no Muos”.

Per gli altri tre imputati – Adriana Parisi, della “Lageco” (una delle società dell’Ati “Team Muos Niscemi”), il direttore dei lavori Giuseppe Leonardi, e l’imprenditrice Maria Rita Condorello della “Cr Impianti” – la prima udienza del procedimento con rito ordinario si è tenuta lo scorso 4 aprile e in quella occasione, l’Ass Antimafie Rita Atria attraverso il proprio legale Goffredo D’Antona, ha chiesto che vengano “sentiti” anche i due ex presidenti della Regione, Lombardo e Crocetta, sotto il mandato dei quali il “delitto MUOS” è stato ad arte confezionato e consegnato, come ordigno ad orologeria, alla popolazione di Niscemi.

Nota di colore

Ieri, appena dopo la sentenza, un gruppetto di operatori dell’informazione ci siamo recati in un bar nei pressi del tribunale giusto per una “pausa-caffè, vista l’ora. Immediatamente, siamo stati raggiunti da due “guardie giurate” di un ente preposto alla sicurezza all’interno del tribunale, i quali ravvisando in noi una possibile minaccia (SIC!!!) per qualcuno che si trovava all’interno del locale PUBBLICO, ci hanno apostrofato categorici intimandoci di “non dare fastidio ai giudici” che in quel locale stavano pranzando… può sembrare banale ma posso assicurarvi che non è stato bello essere trattati come criminali mentre, da semplici cittadini, cercavamo altrettanto “semplicemente” di accedere ad uno sporco e nero caffè!

Questo è quanto!

 

*foto di Monia La Iacona

daniela giuffrida

Autrice - International Member – GNS PRESS ASSOCIATION Scrittrice e Blogger freelance. Collabora con alcune testate on-line nazionali e siciliane. Attivista No Muos. Di cuore siciliano, instancabile attivista e documentarista delle lotte sociali, degli accadimenti della propria terra e non solo.

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