AGRIGENTO – LINGUA O DIALETTO E LA LEGGE REGIONALE 9/2011?

Di Daniela Giuffrida

 

“Et primo de siciliano examinemus ingenium, nam videtur sicilianum vulgare sibi famam pre aliis asciscere, eo quod quicquid poetantur Itali sicilianum vocatur […] “, ovvero: “Indagheremo per primo la natura del siciliano, poiché vediamo che il volgare siciliano si attribuisce fama superiore a tutti gli altri: che tutto quanto gli Italici producono in fatto di poesia si chiama siciliano”. (D. Alighieri – De Vulgari Eloquentia I, XI-XV )

La Giunta regionale siciliana, con a capo il suo presidente Nello Musumeci, riunitasi in seduta straordinaria ad Agrigento, lo scorso 15 maggio, ha deciso di celebrare il 72° anniversario dell’Autonomia siciliana emanando una delibera nella quale sono inseriti diversi punti che dovrebbero essere realizzati in breve tempo. Uno fra questi è il provvedimento che vedrebbe assurgere il “dialetto” siciliano agli onori dei programmi scolastici, diventando materia di studio e di approfondimento per una sola ora settimanale e per un giorno all’anno, quel 15 maggio, Festa dell’Autonomia siciliana, giorno in cui le scuole siciliane non chiuderebbero più i loro battenti e resterebbero aperte e funzionanti per far riflettere gli studenti sui valori e sul significato dell’ Autonomia.

Ma, cosa ne è stato della Legge Regionale n. 9 del 31 maggio 2011?

Era aprile del 2011 quando venne avanzata da Nicola D’Agostino, deputato del MPA, la proposta di legge, approvata immediatamente e all’ unanimità dalla Commissione Cultura dell’ ARS. La proposta di legge prevedeva per due ore a settimana “la valorizzazione e l’ insegnamento della storia, della letteratura e della lingua siciliane nelle scuole di ogni ordine e grado“. Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Regionale il 3 Giugno 2011. La legge che si componeva di 4 articoli prevedeva la produzione di appositi moduli didattici, all’interno dei piani obbligatori di studio definiti dalla normativa nazionale, nell’ambito della quota regionale riservata dalla legge e “nel rispetto dell’autonomia didattica delle istituzioni scolastiche.”

Ma le Isituzioni scolastiche – tranne poche eccezioni – facendo “rispettare” la propria autonomia didattica decisero di non rispettare quella legge che in poco tempo cadde nel dimenticatoio; il motivo: non vi erano docenti sufficientemente preparati in materia e non vi erano fondi regionali per la loro formazione (SIC!). La non applicazione della legge 9/2011 spezzò i sogni di quanti avevano immaginato – proprio come oggi, dopo le parole di Musumeci – una nuova dignità per la lingua degli “avi” ancora oggi parlata da 5 milioni di siciliani e da un numero imprecisato di altri inseriti nelle comunità siciliane all’estero.

L’onorevole D’Agostino era convinto che la legge sarebbe stata applicata: “Non comporta alcun aggravio di spese – disse – e poi c’è una convergenza trasversale in aula. Tra l’altro, senza stravolgere nulla, potremmo usufruire del 20 per cento del monte ore scolastico che la legge Moratti prevede per l’autonomia didattica dei vari istituti. Questa legge ci consentirà di conoscere meglio la Sicilia, la sua lingua e di approfondire alcuni aspetti controversi della nostra storia. La storia, a cominciare dall’Unità d’Italia, non è come ce l’hanno raccontata, ed è giusto quindi agire per riappropriarci di quel che ci spetta“.

Allora insorse il mondo della cultura: lo scrittore Vincenzo Consolo, vide in questa iniziativa una deriva leghista: “Ormai siamo alla stupidità. Una bella regressione sulla scia dei “lumbard” – ebbe a dire – Abbiamo una grande lingua, l’italiano, che tra l’altro è nata in Sicilia: perché avvizzirci sui dialetti?”

Anche Andrea Camilleri, dichiarò le proprie riserve nonostante abbia continuato ad attingere a piene mani dalla lingua siciliana nella caratterizzazione del suo “Commissario Montalbano”. “Se rimane entro certi limiti – dichiarò – e non asseconda istinti leghisti, va bene. Per essere chiari, sarebbe deleterio legiferare l’obbligatorietà del dialetto.”

Bistrattata dai governi italiani, e da quello Monti in particolare che non permise venisse inserita nella Carta europea per le lingue regionali e minoritarie, ovvero fra le “lingue che non sono dialetti della lingua ufficiale dello Stato”. oggi basterebbe, intanto, che il “governatore” – come impropriamente viene definito Nello Musumeci – si imponesse come PRESIDENTE di una regione a statuto speciale, impugnasse e “pretendesse” la modifica a quell’atto di Monti e facesse includere la lingua siciliana nell’elenco delle lingue riconosciute dall’Europa che – lo ripetiamo – non nasce dalla lingua italiana e non ne è una storpiatura: nasce dalla lingua latina, pur avendo subìto l’influsso dei vari idiomi imposti dai conquistatori che si sono avvicendati sull’isola.

Lo stesso Dante Alighieri, nel suo “De vulgari eloquentia”, definisce chiaramente la posizione di preminenza del Siciliano rispetto alla lingua italiana che da quello prese spunto e inizio.

 

*foto dal web

daniela giuffrida

Autrice - International Member – GNS PRESS ASSOCIATION Scrittrice e Blogger freelance. Collabora con alcune testate on-line nazionali e siciliane. Attivista No Muos. Di cuore siciliano, instancabile attivista e documentarista delle lotte sociali, degli accadimenti della propria terra e non solo.

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