PAOLO BORROMETI – SOLO UNA QUESTIONE DI SCELTE

Di Daniela Giuffrida

 

Mio padre diceva sempre che “la vita è una questione di scelte” raramente libere, molte volte “imposte” da esigenze precise, altre invece, determinate da condizioni ambientali particolari. Diceva anche che ognuno di noi, svegliandosi al mattino opera già una serie di scelte: alzarsi o meno, fare colazione o meno, andare al lavoro o meno e così per tutta la giornata, ogni giorno, per tutta la vita.

Si sceglie il lavoro – quando è possibile – e a volte si sceglie di accontentarsi di un lavoro che non piace o che non ci è congeniale; non si sceglie di nascere e, quasi sempre, nemmeno come o quando morire, quasi sempre…

Nel suo saggio dialogare, mio padre cercava di spiegarmi come basti una sola scelta sbagliata per condizionare e cambiare tutta la nostra vita e quella delle persone che amiamo e, concludeva dicendomi che: “la sola cosa davvero importante, alla fine della sera, è avere amato e non avere rimpianti di alcun tipo.”.

Spesso, però, ci si chiude in una sorta di “eremo” in cui vige la regola del “silenzio”: silenzio “coraggioso”, quello in difesa di un’idea, “omertoso”, quello di chi sa e non denuncia e infine quello del “tira a campà”, di colui cioè che, in cerca di una rassegnata e comoda “ascesi”, accetta e subisce passivamente ciò che la vita e il mondo intorno, gli propinano.

Cambiare il mondo è certamente impresa da Titani – nessuno di noi è un personaggio mitologico – quindi, la sola cosa che rimane da fare è cercare di “restare umani” (come amava dire il compianto Vik Arrigoni), aver cura della nostra vita, di quella delle persone che ci vivono accanto e, perchè no, cercare di cambiare le “regole” malate della società in cui viviamo.

Pensavo a questo, rileggendo lo sfogo che il mio amico Paolo ha pubblicato sul proprio profilo FB, “respirando” la sua angoscia, perchè è questo che lui cerca di fare da tanti anni: denunciare per riparare ai danni di chi tace; porre un freno a chi ritiene di poter gestire i propri affari speculando su quelli altrui; mettere fine ad un andazzo consolidato e apparentemente “inamovibile”, che vede la sottomissione del più debole da parte di chi crede di essere forte e intoccabile.

Lui, Paolo Borrometi in una vecchia intervista rilasciatami per “I Siciliani Giovani” parlava di Giovanni Spampinato definendolo un mito, una specie di esempio da seguire: io ritengo che tutti coloro che amano definirsi “giornalisti”, tutti coloro che lo sono o che semplicemente scrivono, dovrebbero per un momento soltanto riflettere sull’importanza dello schierarsi accanto a giornalisti come lui, perchè come diceva qualcuno “Na nuci ‘nta nu saccu non fa scrusciu”: una noce dentro un sacco non fa rumore e, aggiungo io, la si schiaccia troppo facilmente. Non ci servono altri giornalisti da ricordare come eroi, non ci servono altri nomi da aggiungere ad una lista impossibile da ricordare, tanto è lunga: ci servono amici con cui camminare stando al loro fianco, con cui lottare per cercare di cambiare qualche virgola nella storia di questa nostra società malata e del nostro tempo agonizzante.

“Adesso basta – scrive Paolo Borrometi – sono stato in silenzio ma davanti alle menzogne devo parlare!

Sono stato in silenzio, con il mio dolore e la mia paura, per tanto tempo, continuando a fare solo il mio lavoro. Ho pensato che il silenzio fosse la migliore delle strade, ma davanti alla falsificazione della realtà non posso che reagire pubblicamente.
Non ho replicato alle parole di chi, difendendo il capomafia Salvatore Giuliano (quello che per gli Inquirenti avrebbe ordinato il mio attentato), mi insultava e tentava di farlo passare come vittima.
Peccato che si dimenticava di dire come Giuliano sia stato condannato per mafia, oltre che per tanti altri reati, e sia stato in galera per oltre venti anni (e che ha un processo per minacce di morte nei miei confronti, tentata violenza privata, aggravata dal metodo mafioso).
Sono stato in silenzio quando un giornale online siracusano (il cui direttore è uscito da poco dagli arresti domiciliari) mi attaccava, pubblicando scritti di un capomafia, Alessio Attanasio, al carcere duro ed in isolamento (come fanno ad averli prima loro dei diretti interessati?).
Sono stato in silenzio, perché io ho fiducia nella Giustizia.
È questo un difetto?
Se fidarmi degli inquirenti e dei magistrati è un difetto, mi accuso: ho questo grande difetto.
Oggi, però, non posso più rimanere in silenzio.
L’ennesimo comunicato stampa di avvocati di pregiudicati, tenta di stravolgere la realtà.
Il Tribunale del Riesame di Catania ha, purtroppo, confermato il tentativo del gravissimo attentato con un’autobomba nei miei confronti e nei confronti della mia scorta.
Addirittura, cito testualmente, si dice che “sono accertati i contatti tra Giuliano ed il clan Cappello” per la realizzazione dell’attentato.
Forse per qualcuno il vero problema è che io non sia ancora morto, che sono vivo e continuo a scrivere.
Non rimango in silenzio questa volta, visto che parliamo non della mia (sola) vita, ma di quella di 5 persone della mia scorta, delle loro famiglie, dei nostri affetti, e non accetto che qualcuno continui con questo “mascariamento”.
Adesso basta.
I boss mi vogliono morto, e qualcuno vorrebbe aiutarli, isolandomi.
Mi affido, ancora una volta, a Voi.
Aiutatemi, aiutiamoci: solo facendo squadra potremo uscire da questo inferno, perché nella nostra Terra i simboli sono tutto e non si può più rimanere in silenzio.

daniela giuffrida

Autrice - International Member – GNS PRESS ASSOCIATION Scrittrice e Blogger freelance. Collabora con alcune testate on-line nazionali e siciliane. Attivista No Muos. Di cuore siciliano, instancabile attivista e documentarista delle lotte sociali, degli accadimenti della propria terra e non solo.

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