I RODOLICO − ULTIMI MAESTRI D’ASCIA DI ACI TREZZA?

Di Daniela Giuffrida

foto Mara Trovato

“[..] Il mare ad Aci Trezza ha un modo tutto suo di brontolare, e si riconosce subito al gorgogliare che fa tra quegli scogli nei quali si rompe, e par la voce di un amico.” (G.Verga, “I Malavoglia” 1881)

“Se vieni con me, ti faccio conoscere persone straordinarie”, mi aveva detto la mia amica Mara: come rifiutare il suo invito? Così abbiamo lasciato Catania di buon mattino e imboccata la statale 114 che collega il capoluogo etneo a Messina, dopo aver attraversato il Comune di Acicastello, siamo arrivate al porticciolo di Aci Trezza senza aver quasi incrociato nessuno sul nostro percorso.

La piccola frazione è uno di quei borghi la cui essenza più intima ha subito negli anni grandi trasformazioni: per secoli è stato ricco di quella umanità che Verga definiva dei “vinti”: una umanità costretta a vivere la propria realtà fatta di lavoro duro, sudore e fatica, impregnata di princìpi atavici e sani che vorrebbero e dovrebbero essere tramandati alle nuove generazioni. Ma il tempo, scorrendo ha cancellato il ricordo di ciò che è stato, ha favorito l’affermarsi di una modernità travolgente e così anche Acitrezza, come tanti altri piccoli borghi, per non scomparire, ha dovuto adeguarsi e scendere a patti con le strategie di un odioso “mercato del futile”, lasciando che anche i propri valori più longevi e resistenti venissero trascinati verso l’inesorabile “estinzione” di se stessi.

Il cantiere visto dal molo di Trezza, inizi anni ’90 (foto archivio ©maratrovato)

Un “discutibile” consumismo dunque, quello che sta facendo crescere ovunque ristoranti, trattorie, bar e parcheggi. In questo “stravolgimento” è coinvolto anche un importante tratto distintivo del paese, quello in cui sorge lo storico cantiere navale dei Rodolico.

Il cantiere si trova di fronte la piazzetta dominata dalla Chiesa Madre, fra il muro del lungomare e il mare stesso: un mare sereno che si perde a vista d’occhio fino a fondersi con lo stesso “sereno” del cielo, lungo un filo d’ orizzonte, interrotto solo dal profilo dei Faraglioni.

Ci avviamo verso il cantiere, un signore si avvicina e ci chiede: “volete fare un giro in barca fino ai Faraglioni?”.

Tutto intorno il silenzio è quasi totale: solo di tanto in tanto il garrito stridente di un gabbiano s’intreccia e si fonde col chiacchiericcio di qualche persona. Giovanni, il penultimo “maestro d’ascia” dei Rodolico, ci viene incontro sorridente e ci accompagna dal padre.

Ottantuno anni, dei quali 67 vissuti su quel tratto di costa, fra assi di legno, trucioli e polvere. Il viso di Salvatore Rodolico, segnato dalla salsedine e dal sole sembra sereno, ci sorride anche lui ma i suoi occhi a tratti nascondono, a malapena, una profonda tristezza: “Vogliono farci chiudere, signora, ducentudeci anni di storia, cincu generazioni di mastri d’ascia e la sesta che sta già lavorando con noi,  lo vede u mè niputeddu? ” e indica un giovane che si muove adagio vicino a Giovanni, fra le barche distese al sole.

Salvatore e Giovanni Rodolico

Cinque generazioni di “maestri d’ascia”, Salvatore,  duecentodieci anni di storia. Mi dice come si diventa maestro d’ascia?

Si, svolgiamo questa attività da cinque generazioni guardi questo è mio nonno Salvatore Rodolico e mi indica un signore in una vecchissima foto ingiallita dal tempo − prima di lui c’era sò pattri ma io non l’ho conosciuto, questo invece è mio padre e qui ci sono io, certo ero giovane qui, questi sono i miei figli, Sebastiano e Giovanni e poi c’è u me niputeddu che sta lavorando con noi ma che a dicembre, visto che forse finirà tutto, non potrà ereditare questa professione ma si dovrà cercare n’autru travagghiu… dovrà cercarsi un altro lavoro.

Come si diventa maestro d’ascia, voleva sapere prosegue, Salvatore, fissando un punto nel vuoto come se cercasse di trovare le parole Vede signuruzza, per fare le imbarcazioni “grandi” bisogna fare un esame con una commissione fatta da sei ufficiali della Marina e un ingegnere nautico. Questi  fanno tante domande come in un vero esame, se rispondi bene ti danno la possibilità di costruire imbarcazioni fino a 150 tonnellate di stazza, se l’esame non va bene, studi e ti ripresenti.

Avete sempre costruito grandi barche?

Quando c’era mio nonno, siccome non c’era richiesta di barche grandi, mio papà costruiva le “sardare”, imbarcazioni piccole di 7/8 metri al massimo, sa quelle che servono per pescare acciughe e sarde. Queste partivano dal porticciolo usando la vela, senza motore quindi per non spaventare i pesci − sorride e non capisco se dice sul serio o se si prende gioco della mia aria attenta − e quando non c’era vento, andavano a remi. Io, però, da piccolino sognavo di costruire una nave grande e allora, quando ero a letto pregavo Dio perché me ne facesse costruire una. Dio mi ha aiutato e mi ha fatto costruire tante barche grandi. Dio mi ha aiutato sempre − socchiude gli occhi e sorride − Sa? questa è una bellissima attività ma è molto pericolosa perchè si spostano grosse tavole di legno e si usano seghe e pialle, abbiamo avuto tantissimi apprendisti ma sempre, grazie all’aiuto di Dio, fino ad oggi non ho mai avuto un infortunio sul lavoro.

Cosa sta succedendo alle vostre famiglie, Salvatore? Perché siete tre famiglie che lavorate e vivete di questo cantiere, giusto?

Prende fiato Salvatore e mentre un’ombra gli scivola sul viso, comincia a raccontarsi.

Io faccio questo lavoro da una vita, avevo 14 anni quando venivo a lavorare in cantiere con mio nonno e oggi ne ho quasi 82. In questo cantiere ho costruito, alato e varato barche e pescherecci di qualsiasi stazza: ho costruito imbarcazioni che poi andavano in tutta la Sicilia, alle Isole Eolie, fino a Salerno, Napoli e in Liguria.

Lavoravano solo i membri della sua famiglia?

Non solo, abbiamo avuto anche quaranta fra operai e apprendisti a lavorare qui da noi e MAI c’è stato un solo incidente! Ma sembra che questo non sia sufficiente, per chi vuole farci smantellare tutto e mandarci via.

Taliassi − mi dice “guardi”, mentre indica un vecchio documento che fa mostra di se nella sua bacheca dei ricordi − questa fattura è datata 1908 e si riferisce alla costruzione di una imbarcazione che doveva servire al trasporto di persone sull’ isola Lachea,  ci fu commissionata dall’Università di Catania.

E guardi, questo è un “attestato” rilasciato nel 1986 dal Ministero della Marina Mercantile per essermi distinto nell’esercizio della mia attività professionale. Vede questa targa? Dice che sono stato iscritto all’ Albo d’Oro e d’Onore dei maestri d’ascia!

È fiero di sè e orgoglioso del suo cantiere navale storico Salvatore e continua a mostrarci foto e documenti di ciò che è stato, poi una domanda sembra ferirlo.

Quando è cominciata la crisi?

Si fa serio, riflette e poi mi dice di aspettare un momento, riprende fiato, quindi comincia a raccontare.

La vede questa barca, questa è l’ultima che abbiamo costruito, “AGATINO” si chiamava. La costruimmo nel 1990, quello stesso anno la Comunità Europea mise delle limitazioni al pescato e la Marina Mercantile decise che era necessario limitare la produzione di barche da pesca, del resto se non puoi pescare a che ti serve costruire una nuova barca? In più, la Comunità Europea che prima finanziava la costruzione delle imbarcazioni da pesca, decise di dare incentivi per la rottamazione delle barche attive in mare. E allora mi dica: che senso ha tutto questo? Prima mi finanzi per costruire la mia barca, poi dici che più di un tot di pesce non posso pescare, quindi mi dai − per distruggere la mia barca − molti più soldi di quanti non potrei guadagnare in diverse stagioni di pesca! Chi voli diri, signora mia, che senso ha?

Quindi anche le riparazioni delle barche sono venute pian piano diminuendo, ma allora i Rodolico come vivono?

Facciamo piccole riparazioni soprattutto in inverno e poi i PON con le scuole. L’anno scorso sono venuti 700 ragazzini ai quali abbiamo spiegato passo passo come si fanno le barche. Abbiamo  fatto vedere le imbarcazioni in miniatura, in tutto uguali a quelle grandi e poi mio figlio ha proiettato un filmato in cui si vede dalla costruzione di una di barca, qui in cantiere, fino al battesimo celebrato da un sacerdote che benedice l’imbarcazione e poi il varo: è una cerimonia importante ed emozionante.

Ma cos’è successo col Comune di Acicastello?

Guardi, io non capisco perché il comune di Acicastello abbia voluto penalizzarci così da costringerci a chiudere! Le spiego: prima, tutto lo spazio che lei vede qui intorno era demanio marittimo, quando finiva la stagione della pesca, le barche venivano alate e sistemate per bene, senza che la Capitaneria di porto chiedesse un centesimo. Prima dell’intervento del Comune noi avevamo speso decine di migliaia di euro per mettere in regola il cantiere: ci hanno fatto collaudare anche l’aria che respiravamo, abbiamo fatto i collaudi negli scali di alaggio voluti dalla Regione Siciliana, abbiamo collaudato l’ invasatura dove alavo le barche dei pescatori a terra; l’argano e anche i cavi d’acciaio!

Abbiamo dovuto comprare delle vasche movibili (costate 4.000 euro)in cui raccogliere l’acqua che usavamo (attraverso una idropompa) per lavare le barche (l’acqua non doveva toccare terra) e un depuratore (costato 10.000 euro) per rendere pulita quell’acqua. Ma poi ci hanno detto che pur essendo quell’acqua depurata non poteva essere smaltita in mare ma doveva essere buttata nel nostro giardino se ne avevamo uno e quindi ho dovuto fare un contratto con quelli dei pozzi neri. Poi sono venuti quelli del Comune e mi hanno fatto distruggere le vasche e hanno preteso che tutto quel materiale fosse portato alla discarica dei rifiuti speciali.

Poi, come dicevo, il demanio marittimo è diventato comunale e ho dovuto rifare tutte le pratiche concessorie e pagare l’IMU. Ma fino a quel momento si era parlato solo dell’area comunale occupata dal cantiere e non delle aree dove sostavano le barche: perchè non ce l’hanno detto, se lo avessero fatto, avremmo fatto attenzione e messo in regola anche quelle!

Un giorno a fine stagione arrivano vigili, poliziotti, Digos e chi più ne aveva più ne mandava, nessuno di noi ha mai capito perchè quel dispiegamento di forze, noi siamo sempre state persone per bene, ci conoscono e ci stimano tutti ovunque. Queste persone sono state in cantiere per giorni, guardando documenti e cercando non abbiamo mai capito cosa, qualcuno di loro ha usato anche toni intimidatori della serie “da qui ve ne dovete andare o veniamo a prelevarvi con la forza!”. Non si fa questo a gente per bene che da due secoli si spacca la schiena sotto il sole, dando lustro e lavoro al paese!

Comunque, quando questa cosa è successa era fine stagione di pesca e i privati avevano sistemato le loro barche in quell’area che “senza dirci nulla” nessuno, era diventata area comunale, le nostre erano solo 5.  Queste forze inviate dal Comune hanno deciso che fossero invece, tutte nostre e ci hanno fatto un verbale di 7.000 euro per il 2014 ed un altro uguale per l’anno successivo, un altro verbale per la spazzatura che il Comune non ritira perchè, pur trattandosi di segatura e trucioli e pur pagando regolarmente la tassa comunale per lo smaltimento dei rifiuti, avremmo dovuto consegnare in discarica tutto quei rimasugli di legno lavorato, attraverso una ditta che smaltisce rifiuti speciali!

Quindi:

  • non posso più costruire barche perchè la “richiesta” è praticamente inesistente;
  • non posso più alare le barche altrui perchè quella è diventata zona SIC;
  • mi sono indebitato con le banche per pagare tutte quelle cose che han preteso pagassi prima dei verbali;
  • ho affrontato e sto affrontando spese legali;
  • non potendo più lavorare ho perso i miei clienti che mi avrebbero permesso di pagare i verbali, cosa che, senza denaro non possiamo assolutamente fare!

A fine anno scadranno le concessioni e con questi verbali non pagati, il Comune non ce le rinnoverà mai! Quindi? La sola speranza che ci rimane è che mio figlio riesca a vendere la sua casa ed ha già dato incarico ad un’agenzia, altrimenti saremo tre famiglie in mezzo alla strada, dopo 210 anni di onesto lavoro.

Tutto questo e tanto altro ancora l’ho raccontato in una documento inviato all’ex sindaco di Acicastello già il 20 luglio dell’anno scorso, ma da quella amministrazione non mi è arrivata alcuna risposta! Ho scritto ancora al nuovo sindaco, inviando ancora lo stesso documento, il dott. Scandurra mi ha assicurato che dopo la festa del patrono San Giovanni, l’Amministrazione Comunale si riunirà e mi convocherà per discutere questa cosa.

Sembra abbiano proprio deciso di mandarvi via, ma perché? Cosa vogliono farci in quest’area?

No sacciu signora, forse vogliono che diventi un’area di parcheggio, vorranno mettere dei bar, dei ristoranti, non lo so, ma certamente, con questo panorama…

E volge lo sguardo verso il suo mare.

Signora lo sa che quando venne a trovarci la buonanima dell’assessore Tusa ci commissionò una barca per la biennale di Venezia? Noi abbiamo fatto l’imbarcazione e l’abbiamo già mandata. Tusa mi disse:lei è un tesoro vivente, lei deve restare,  questo posto deve restare perchè è un tesoro pubblico e deve restare per il futuro” ma sono cose che mi disse a voce e non fece in tempo a fare nulla per noi, maledetto quell’incidente aereo

Io ho sempre pensato che altre generazioni di Rodolico avrebbero seguito il cantiere, che avrei vissuto sereno gli anni che mi restano dopo una vita intera passata su questa spiaggia, fra questi fasciami di legno e queste barche. Vede, io ho sempre vissuto qui, come mio nonno, mio padre, qui ho visto crescere i miei figli e mio nipote, si mi levunu u canteri mi levunu ‘a vita.

Spero che il sindaco Scandurra faccia qualcosa con l’aiuto di Dio, picchì vede signora mia, Dio mi ha già aiutato tante volte, mi ha aiutato a realizzare il mio sogno di costruire barche grandi, mi ha aiutato a non avere mai incidenti, mi ha dato dei figli che sono la mia vita, se lui vuole, tutto andrà bene.

Quella romantica definizione che il Verga diede del mare di Acitrezza, ancora oggi rende l’idea di quale sia il rapporto intimo che lega i Trezzoti al loro mare: per i quasi 5.000 abitanti del piccolo borgo acese, il mare non è solo un amico ma rappresenta la vita stessa. Così per i Rodolico, ultimi “mastri d’ascia” siciliani.

Adesso spetta al Sindaco di Acicastello decidere se questa famiglia possa continuare ad essere il “fiore all’occhiello” della sua comunità.

daniela giuffrida

Autrice - International Member – GNS PRESS ASSOCIATION Scrittrice e Blogger freelance. Collabora con alcune testate on-line nazionali e siciliane. Attivista No Muos. Di cuore siciliano, instancabile attivista e documentarista delle lotte sociali, degli accadimenti della propria terra e non solo.

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