PILU RUSSU, PER GLI AMICI PIRU’

Di Daniela Giuffrida

 

Quando i tuoi occhi incontrano quelli di un gattino possono accadere solo due cose: o scappi precipitosamente da lui per paura di innamorartene o te ne innamori. Pirù è stato questo: un amore al primo sguardo.

Era un bel giorno di inizio estate quando decisi di andare a trovare la mia amica Graziella. Lei vive fuori città e quando ho bisogno di rilassarmi vado a trovarla. Passeggiare nel suo giardino è come farlo fra i colori della tavolozza di un pittore: il verde delle foglie dei suoi ulivi si fonde con quello dei cespugli di rosmarino e si confonde con quello più chiaro delle foglie dei giovani agrumi. Ma se guardi bene in quel verde “totale”, puoi vedere tante piccole stelline candide: sono i fiori di zagara e il loro straordinario profumo ubriaca il tuo olfatto. Se poi si leva il vento quel profumo inebriante si mischia a quello che proviene dai cespugli di rose e gelsomini e dai fiori di ginestra i cui cespugli crescono rigogliosi nella campagna intorno alla sua casa: si, da lei si respira tutta la generosità di questa terra.

Quel giorno Graziella fu gentile e affettuosa come sempre ma era particolarmente contenta di vedermi: mentre mi abbracciava, mi sussurrò adagio: “vieni, ti faccio vedere una cosa”.

Io la seguii senza fiatare ma sentivo che stava per accadere qualcosa di importante.

Quando aprì la porta di quel piccolo bagno di servizio, lo vidi: lui era lì, piccolo mucchietto di peli rossi che somigliava tanto ad un micetto: era un micetto!

Il gattino passeggiava tranquillo fra giochini di tutti i tipi. Il rumore della porta lo aveva distolto dalla sua passeggiata e, voltando il musetto nella mia direzione, si era fermato e mi fissava.

Non so cosa accadde, avrei potuto “scappare”, sono una donna in perenne movimento, ho avuto altri gatti e ho avuto sempre grandi problemi a gestire la nostra convivenza: una “nomade” come me non può permettersi un gatto! Lo guardai assorta per qualche minuto, poi, realizzai che “DOVEVO” fuggire via, immediatamente!

Ma, lui mi guardava serio come se intuisse il mio pensiero: io gli sorrisi accarezzandolo, lui strusciò la sua testina sul palmo della mia mano ed io pensai “ma quanto sei ruffiano!”.

La mia amica lo prese adagio e me lo porse. Io lo guardavo ammaliata e lui faceva altrettanto, non distolse i suoi occhietti dai miei, nemmeno per un istante.

Quel mucchietto di peli rossi aveva circa due mesi, aveva un occhietto che lacrimava e non miagolava, il suo cuoricino batteva forte nelle mie mani, potevo sentirlo distintamente. Dopo qualche minuto, lo ridiedi a Graziella e le dissi: “riprendilo o lo porto via”.

Lei mi sorrise e mi raccontò la sua storia: il micino era stato gettato oltre la recinzione di una villetta abbandonata, non distante dall’ambulatorio veterinario del fratello. Il gattino era stato controllato, vaccinato e tenuto in quel bagnetto per tenerlo sotto osservazione e per impedirgli di smarrirsi nelle campagne vicine e finire fra le grinfie di animali più grandi di lui. Poi lei mi disse: “E’ inutile che lo guardi così, non te lo do, tu non puoi occupartene, sei sempre in giro fra rivoluzionari e cose brutte da raccontare, non stai un attimo in casa, non puoi portarti il gatto.”

Mi convinse e me ne andai.

Trascorse qualche giorno, poi, con un pretesto banale, tornai a trovarla e le chiesi subito di farmi vedere quel gattino. Lei mi disse di no ed io: “ti prego fammelo vedere solo un attimo.” Lei lo portò ed io lo tenni ancora fra le mie braccia come si fa con un bambino piccino: lui stava fermo, immobile, continuava a guardarmi dritto negli occhi come volesse dirmi qualcosa.

Il suo mantello era un misto di giallo, arancione e dorato e i suoi occhi dello stesso colore: il suo sguardo era intensissimo. Chiesi a Graziella di prestarmi un trasportino e lo portai via con me.

Lo chiamai Pirù, acronimo di “pilu russu” che in siciliano vuol dire “pelo rosso” e venne a vivere con me.

Fu strano quel primo periodo col mio gattino biondo, lui cresceva sano e tranquillo e rompeva tutto quello che trovava su mobili e mensole e ovunque arrivasse con i suoi rapidissimi salti, io però non riuscivo ad arrabbiarmi: giocherellone come tutti i gattini della sua età, aveva completamente riempito la mia vita.

Non dormiva con me ma al mattino mi faceva trovare sul lettone tutto ciò che poteva trasportare: dalla spugnetta imbevuta d’acqua ai pupazzetti di tutte le misure che recuperava nella camera di mia figlia. Graziella mi disse che erano inviti al gioco, voglia di coccole e dimostrazioni d’affetto. Quando sedevo al pc lui trovava il modo di salire sulla mia spalla e poi scivolava adagio lungo il braccio fino alla mano bloccandola sulla tastiera: io lo guardavo sorridendo e lo lasciavo fare finchè non decideva di andarsene. Ero davvero felice delle sue attenzioni.

Poi arrivò l’autunno e con le prime piogge arrivò Luna, una streghetta tutta nera dal manto lucidissimo e gli occhi giallo−verde. Era stata trovata da un’altra mia amica in un centro commerciale, all’interno del vano motore di una macchina nel quale aveva trovato rifugio da un terribile acquazzone autunnale.

Con Luna accadde quasi la stessa cosa che con Pirù: anche lei mi fissò, ma non aveva lo sguardo del mio micio biondo, lei aveva uno sguardo impertinente e mi guardava quasi come volesse sfidarmi. Io le sorrisi, pensai che avrebbe fatto compagnia a Pirù, forse così il “giovanotto” avrebbe smesso di distruggere tutto ciò che trovava sul suo cammino: la portai a casa.

Pirù ci mise circa tre secondi a riconoscerla come la compagna di giochi che sarebbe diventata: dall’ unica “soffiata” che le fece vedendola muoversi dentro il suo territorio, alla prima rincorsa per casa fu un tutt’uno. La mia vita divenne un caos completo.

I due giocavano tutto il giorno, si nascondevano appostandosi dietro le porte, pronti a piombarmi sui piedi per poi fuggire in tutte le direzioni come saette. Pirù non emetteva suoni (pensai fosse muto ma non lo era), Luna da brava gatta “petulante” miagolava anche per lui, la notte però si abbracciavano sul divano e dormivano tranquilli.

Arrivò marzo e il primo compleanno di Pirú. L’inverno era trascorso serenamente, i nostri ritmi vitali avevano raggiunto un equilibrio perfetto e tutto sembrava andare benone. Ma un giorno di maggio, Pirù cominciò a star male. Abbiamo pensato ad un disturbo intestinale provocato da qualcosa che aveva mangiato, ma la cosa era molto più grave.

Il micio cominciò a bere poco e a dimagrire, pur mangiando come sempre: il medico mi chiese di portarlo tutti i giorni in ambulatorio per sottoporlo ad un ciclo di flebo, ma ogni giorno dimagriva un po’ di più. Il fatto che comunque si nutrisse regolarmente lasciava sperare che potesse riprendersi, sembrava volesse reagire: provai a cambiare la sua alimentazione, gli diedi alimenti più leggeri e nutrienti, facilmente assimilabili ma lui continuava a nutrirsi e a tacere.

Furono giorni di grande silenzio dentro la mia casa, lui stava nella sua cesta dove Luna lo raggiungeva e dove si accucciava, abbracciandolo: niente più corse per il corridoio, niente salti dentro i lavandini o sul credenzone, niente più inseguimenti sulle mie mensole.

Luna taceva anche lei: quando lo sistemavo per raggiungere il veterinario, lei saliva sul trasportino e dall’alto lo guardava. Quando tornavamo a casa e lui raggiungeva la sua cesta, lei gli correva incontro e con la sua linguetta accarezzava i suoi peli gialli che avevano perso la loro lucentezza.

Pirù doveva fare punture tutte i giorni, la mia amica Graziella cominciò a venire lei a casa mia per evitare di sottoporlo a sforzi e a stress che gli avrebbero fatto male: aveva bisogno di stare tranquillo. Tutti i giorni, per venti giorni, lei venne a casa e quando non poteva, veniva la sua figliola o lo stesso dr. Bongiorno, ma il mio “rosso” riusciva a malapena a masticare e dimagriva inesorabilmente.

I sintomi erano quelli della F.I.P. (Peritonite Infettiva Felina), un virus letale che non fa eccezioni e non risparmia mai il gatto nel quale si imbatte, un male incurabile per il quale non esistono vaccini, terapie o esami diagnostici: sai che è F.I.P. solo quando il gatto va via.

Arrivò il 3 giugno e quella mattina, dopo una notte passata al suo fianco come tante altre di quel mese terribile, mi resi conto che era finita: lui, sempre più debole, quella mattina non riuscì a raggiungere la sua lettiera, gli diedi i suoi farmaci, gli preparai il succo di carne ma lui mi guardò stanco ed evitai di imporgli quell’alimentazione. Poi pianse, si, sembra incredibile ma due grosse lacrime ed altre più piccine vennero fuori dall’angolo esterno dei suoi occhi: il mio cuore si fece in mille pezzetti, lo presi in braccio e lo poggiai contro il mio petto come amava fare lui.

Sentivo il suo cuore battere forte contro il mio, lo accarezzavo adagio e piangevo. Gli sussurravo: “basta, piccolino, riposa adesso, lascia perdere… ha vinto lei… non puoi, non possiamo più fare niente”. Lui, come avesse capito ciò che gli sussurravo, ad un tratto, allungò le zampine contro il mio petto e si scostò un po’, poi girò il musetto verso la finestra ed io capii: lo adagiai sul davanzale, lui si allungò come si stesse stiracchiando, emise due brevissimi e sottili miagolii poi guardò il cielo fra le imposte aperte e volò via.

Gli animali sentono e provano cose che noi non crediamo sia possibile possano provare: quando lo sistemammo sul suo cuscino, Luna con un salto salì sul davanzale, gli si avvicinò e lo annusò con delicatezza, poi si distese su di lui quasi per abbracciarlo: ancora un gesto di affetto in un estremo, ultimo saluto. Poi saltò giù dal davanzale e andò via correndo, in un’altra stanza.

Questa storia, per quanto possa sembrare dura e troppo ricca di particolari che forse avrei potuto omettere, è rivolta a coloro che credono che gli animali non abbiano un’ anima o che non siano capaci di provare emozioni, a coloro che non hanno mai condiviso un po’ del loro tempo con un animale e che non sapranno mai cosa hanno perso nel non farlo. Vorrei servisse a far capire loro che l’amore di una creatura “innocente” è un bene prezioso che ti arricchisce, che ti rende migliore.

Ai fratelli Bongiorno e alla dolcissima Dalila, il mio grazie per la loro assistenza, la loro affettuosa presenza: senza di loro io non avrei saputo cosa e come fare.

Sono trascorsi solo tre mesi dalla partenza di Pirù per il suo viaggio sul ponte dell’arcobaleno e non so se sia arrivato già dall’altra parte ma so che lui mi aspetterà e che, quando sarà tempo, potrò accarezzarlo ancora e ascoltare ancora le sue “fusa”. Lui mi manca molto e manca tanto anche a Luna che è diventata la mia ombra, ma se potessi tornare indietro, io sono certa che lo porterei ancora con me, pur sapendo che resterà, nella mia vita, solo per pochissimo tempo.

 

 

daniela giuffrida

Autrice - International Member – GNS PRESS ASSOCIATION Scrittrice e Blogger freelance. Collabora con alcune testate on-line nazionali e siciliane. Attivista No Muos. Di cuore siciliano, instancabile attivista e documentarista delle lotte sociali, degli accadimenti della propria terra e non solo.

Lascia un commento