MESSINA – UN SINDACO PACIFISTA PER LA CITTÀ DELLO STRETTO

Di Daniela Giuffrida

Correva l’anno 2013 ed era un tiepida sera di metà ottobre quando l’allora neo eletto sindaco di Messina, Renato Accorinti, decise di regalare alla sua città una “notte bianca”. Porte aperte alla cittadinanza, dunque e un programma pieno di eventi importanti: una notte per parlare di pace, disarmo, immigrazione e per far capire ai messinesi che “cambiare” era possibile.

Un pezzo datato dunque – pubblicato parzialmente da alcuni giornali per cui scrivevo allora – che oggi trova il suo giusto posto nell’archivio di questo sito, in versione integrale.

Ciò che è accaduto dopo quella notte bianca messinese è ormai storia, si è detto e scritto tanto si è anche elogiato e criticato in maniera “istintiva e incontrollata”, a volte senza cognizione di causa e solo per il piacere di “sparare a zero” contro qualcuno che si distingue dalla “massa”: fenomeno estremamente diffuso sui social, dove tutti sanno “tutto” di tutti ma in pochi prendono posizione contro ciò che ritengono “sbagliato”. Al di là di tutto questo, quel 12 ottobre 2013 a palazzo Zanca ha lasciato il segno in chi era presente.

Ma, è cambiata Messina da allora? Certamente l’amministrazione del comune è cambiata così come chi ne sta a capo: purtroppo non sempre il termine “cambiamento” è sinonimo di “miglioramento”.

15 ottobre 2013

“Siamo gli innumerevoli, raddoppia ogni casella di scacchiera. Lastrichiamo di corpi il vostro mare per camminarci sopra. Non potete contarci; se contati, aumentiamo, figli dell’orizzonte che ci rovescia a sacco. Nessuna polizia può farci prepotenza più di quanto già siamo stati offesi. Faremo i servi, i figli che non fate. Nostre vite saranno i vostri libri di avventura. Portiamo Omero e Dante, il cieco e il pellegrino – l’odore che perdeste, l’uguaglianza che avete sottomesso. Da qualunque distanza, arriveremo. A milioni di passi. Noi siamo i piedi, e vi reggiamo il peso. Spaliamo neve, pettiniamo prati, battiamo tappeti, raccogliamo il pomodoro e l’insulto. Noi siamo i piedi e conosciamo il suolo passo a passo. Noi siamo il rosso e il nero della terra, un oltremare di sandali sfondati, il polline e la polvere nel vento di stasera. Uno di noi, a nome di tutti, ha detto: «Non vi sbarazzerete di me. Va bene, muoio; ma in tre giorni resuscito e ritorno»”.
In braccio al Mediterraneo, migratori di Africa e di oriente, affondano nel cavo delle onde. Il pacco dei semi portati da casa, si sparge tra le alghe e i capelli. La terraferma Italia è terrachiusa. Li lasciamo annegare per negare.”

Queste le parole di Erri De Luca che hanno aperto la lunga “Notte Bianca” di Messina. Mentre la lettrice snocciolava un verso dopo l’altro  e la commozione si diffondeva fra i presenti, greve e dolorosa a tratti quasi tangibile, fuori da Palazzo Zanca, Piazza Unione Europea  era gremita da ragazzini e bambini gioiosamente intrattenuti dalle bolle di sapone di un gruppo di artisti.

Alla “Solo andata” di Erri De Luca era seguito un lungo minuto di silenzio, non richiesto da alcuno ma nato spontaneamente nella “sala della Comunità Europea” di palazzo Zanca, location perfetta per parlare di diritti umani violati, di integrazione e smilitarizzazione: in quella sala, nel giugno del 1955, a poco meno di un anno dalla scomparsa di Alcide De Gasperi, si svolse una Conferenza destinata a creare un “pezzetto” di storia europea. Fra quelle pareti si abbozzò e prese il via l’idea della creazione di un Mercato comune e di una Comunità europea dell’energia atomica (CEE ed EURATOM), di fatto partorite poi, il 25 marzo 1957, con la firma dei trattati di Roma.

“Li lasciamo annegare per negare”, conclude il suo scritto De Luca, ma negare cosa? L’esistenza di queste persone? La nostra difficoltà a capire le loro ragioni o la nostra impotenza di fronte a questo esodo della disperazione? Perché è di questo che si tratta: un esodo della disperazione verso un’Europa insensibile e fredda che da un lato tiranneggia un intero continente e ruba e depreda e si arricchisce alle spalle delle popolazioni locali, dall’altra, resta immobile a guardare annegare uomini, donne e bambini: PERSONE, costrette a fuggire dalla fame e dalla povertà indotta dai loro governi complici di multinazionali e da “profittatori” di ogni genere oltre che da guerre fratricide, anche queste frutto del “lavoro” di consapevoli fabbricanti d’armi occidentali e, altrettanto consapevoli e incoscienti mercanti d’armi!

Le parole dello scrittore napoletano, rimbombano ancora nel silenzio del grande salone, quando il nuovo sindaco della città dello stretto introduce un gruppo di immigrati: “Erano due barconi – racconta Renato Accorinti, con voce rotta dall’emozione – sono partiti a poche ore di distanza l’uno dall’altro, entrambi carichi di uomini, donne e bambini: uno è sprofondato negli abissi senza che alcuno si salvasse, l’altro è riuscito ad approdare sulla nostra terra. Sono nostri ospiti stasera, resteranno a vivere qui. Ci racconteranno cos’è fuggire dalla propria terra, dai propri affetti in cerca di un po’ di pace, di un po’ di serenità.” Sono in pochi gli immigrati libici che fanno il loro ingresso nel salone e subito il loro portavoce comincia a raccontare timidamente quanto accaduto ”la notte dei 200 morti accertati”.

E’ stato difficile stare ad ascoltare senza reagire, senza provare emozione, senza accennare un moto di rabbia: loro sono riusciti a salvarsi ma gli altri? Resteranno “numeri” lasciati in pasto ai pesci o recuperati e seppelliti in un cimitero qualsiasi lontano dalla loro terra, dai loro affetti: a ricordarli solo un numero come non fossero “persone” ma semplici “entità” senza un vissuto, senza un presente, senza un futuro.

Il portavoce degli immigrati, ha concluso il proprio intervento ringraziando la città di Messina ed il sindaco Accorinti, che tanto sta facendo perché venga loro riconosciuto lo stato di “rifugiato politico”, ha detto di riconoscere sicuramente la loro fortuna nell’essere arrivati sani e salvi sulle coste siciliane, ma di non essere sicuro che per loro sia meglio sopravvivere al mare, per poi ritrovarsi accatastati dentro fatiscenti centri di “accoglienza” o rischiare l’arresto se trovati a “circolare” fuori dagli stessi.

Nella sala gremita di Messinesi, partecipi ed emozionati, numerosi interventi han chiarito come, tentare la via dell’integrazione economica, sia un importante strumento per realizzare l’unione politica, nonostante in Europa diversi paesi vivano situazioni di profonda crisi: un concetto di unità politica, non può basarsi su idee astratte e dovrebbe sicuramente partire da un’idea di integrazione “umana” nei confronti dei meno fortunati, da qualunque parte del mondo essi giungano.

Integrazione umana, dunque, prima di ogni altra cosa. Questo, insieme alle problematiche inerenti al Muos di Niscemi e alla smilitarizzazione in Sicilia, è stato il tema centrale della notte bianca messinese e in questo contesto, l’intervento del giornalista Antonio Mazzeo ha fatto chiarezza sulla situazione immigrati in Sicilia. Ha posto l’attenzione sulle pessime misure di accoglienza e di “smistamento” di queste persone, Mazzeo ha parlato del “carcere di Mineo dove 5.000 persone vengono stipate in un centro che dovrebbe essere di accoglienza per i richiedenti asilo, cioè persone che per il Diritto Internazionale e per la Costituzione Italiana devono essere protette, che è qualcosa di più che essere sfamate e dissetate.. – ha detto il giornalista messinese – Questa gente viene lasciata in una specie di limbo per 2, 3 anni, per essere chiamata solo dopo tutto questo tempo, a spiegare chi sono e perché hanno diritto di asilo”. Secondo Mazzeo, Messina che tanto si sta impegnando per i 50 immigrati che le sono stati “consegnati”, ha le professionalità adatte a creare una “rete” che si occupi di questo problema, che possa far crescere quella che è una tradizione storica della stessa città nel campo del sociale e della difesa dei diritti umani. Secondo il giornalista, ciò che gli italiani sono chiamati a fare “non è accoglienza, ma cercare di ripagare i debiti di anni di colonizzazione, di post colonizzazione e di imposizione di progetti colonialistici.”

Dopo Antonio Mazzeo è intervenuto il prof. Massimo Zucchetti, giunto appositamente da Torino per presenziare alla manifestazione. Molto duro ed estremamente realista il suo intervento ha immediatamente guadagnato il consenso dei presenti che non hanno certamente lesinato gli applausi. Il professore ha esordito chiedendo alla stampa e ai fotografi presenti in sala, di non riprendere i volti degli “amici” sbarcati a Lampedusa, “perché, voi sapete che siamo in uno stato – ha detto – in cui se fai il favore di morire mentre sbarchi ti fanno un giorno di lutto nazionale però se invece commetti l’errore di sopravvivere, ti arrestano!”. Quindi ha affermato di non capire quanti provano moti di ribellione davanti a morti “inutili e assurde” di donne e bambini che provano a sbarcare sulle nostre coste.

“Non sono morti inutili – ha detto il prof. Zucchetti – nel loro piccolo queste morti rientrano in un disegno preciso e sono “utili”: se questi bambini insieme ad altri milioni che muoiono ogni anno in piccola età, non morissero ma anzi vivessero 75 anni in media, consumando energia e risorse come un abitante delle “democrazie” capitaliste, il nostro sistema crollerebbe subito per mancanza di risorse disponibili. Quindi “le democrazie” capitaliste del Primo Mondo si basano, proprio nel loro DNA, sulla morte altrui, sulla fame, sull’ingiustizia sociale a livello mondiale, perseguita con l’imperialismo e la rapina economica legalizzata. “Noi tutti dobbiamo essere contenti – ha continuato – se questi bambini muoiono perché altrimenti noi non potremmo continuare a vivere come viviamo adesso. E’ un disegno che fa parte di un “do ut des” per cui sulla morte altrui, sulla non sopravvivenza, sulle cattive condizioni di salute, sul mancato consumo di energie, le democrazie occidentali possono invece continuare a vivere e prosperare ma è un falso benessere, perché IO MI VERGOGNO in maniera profonda di avere a disposizione una serie di risorse che mi sono date soltanto perché ad altri non sono concesse. Tutto questo viene chiamato Democrazia ed è un modello che stiamo anche cercando di esportare”.

“Ma che Dio non voglia che venga esportato e anzi ben vengano i migranti, le persone da altri luoghi che magari rinforzeranno un po’ il sangue italiano, perché se gli italiani sono questi, quelli che piangono e fanno i giorni di lutto ma poi basano tutta la loro vita su un’ ingiustizia e sulla morte altrui… allora ben vengano gli altri e che si estinguano questi italiani!”.

Grandi applausi per le parole dello scienziato torinese: i toni alti e decisi delle sue parole hanno scosso la sala, creando sicuramente anche una sorta di imbarazzo nei presenti che probabilmente non avevano soffermato la loro attenzione su questo aspetto del “problema”. Il suo discorso è proseguito su questioni tecniche e umane riguardanti il Muos. Un intervento preciso e puntuale ma costellato di spunti fra l’ironico e il sarcastico seguito attentamente dai presenti che non hanno mancato di sottolineare con applausi i passaggi riguardanti l’art.11 della Costituzione ed i diversi e forti accenni sui rapporti intercorsi con la “dirigenza” regionale siciliana. Zucchetti ha concluso il suo intervento, dicendo “non fatelo il Muos, ma se proprio lo dovete fare, fatelo in un posto dove avete portato democrazia ed è desertico, non so, nei deserti della Libia. Mi sembra che in Libia da due anni abbiano un regime democratico dove vi vogliono tanto bene ed è un paese pacificato, dove non c’è alcuna anarchia e dove tutto va benissimo, fatelo li, se proprio volete farlo”.

Mentre nella “Sala della Comunità Europea” spettacoli musicali, teatrali e di danza, si susseguivano, per la scrivente è stato possibile (con non poca fatica) ottenere una sorta di “intervista”, una chiacchierata lunghissima e cordiale, intrisa di concetti molto importanti e profondi. Per Accorinti, sindaco dal 25 giugno e meglio noto come il “Sindaco scalzo” tutto è riconducibile al piano della spiritualità, alla evoluzione della coscienza umana. Anche la politica e il cambiamento. Quello che è certo è che non mi è sembrato di parlare con un politico, e questo, al giorno d’oggi, non può che essere un complimento.

La prima domanda è d’obbligo.

Sindaco le casse del Comune di Messina sono in rosso. Rischio default?
Si, i problemi di questa città sono enormi, ma più del default finanziario mi preoccupa il default spirituale e culturale. Certo i soldi servono per fare tante cose e bisogna spremere la testa per trovare soluzioni alternative e comunque bisogna trovare il modo di venir fuori da questa situazione cosa che è possibile fare solo con la collaborazione dei cittadini con la consapevolezza che non è possibile far tutto e che ciò che non si può fare oggi si farà domani”.

Nei prossimi giorni incontrerà Crocetta, e parlerete anche di Muos. Cosa si aspetta da questo incontro?

Io da Crocetta non mi aspetto nulla, io instauro un rapporto e faccio cadere qualsiasi barriera istituzionale, Io voglio il contatto diretto con la persona per toccare le corde più sensibili della sua anima“. Lo inviterò a seguire un percorso diverso, quello della “Pace”. La Sicilia deve rimanere luogo di pace, di scambio fra culture e religioni come è sempre stata e non di guerra. Dobbiamo difendere questa nostra terra, smilitarizzarla e farne di nuovo quello che è sempre stata: un avamposto di pace.

In provincia di Messina esiste ed è tangibile il problema dell’inquinamento provocato dalle raffinerie e dall’elettrodotto della Valle del Mela.

“Si conosco il problema, io cercherò di fare qualcosa ma ci vuole tempo”.

Si racconta a lungo, Renato Accorinti. Racconta dei suoi rapporti con la sua gente da cui è sicuramente molto amato a giudicare dalle mani che gli abbiamo visto stringere e dai sorrisi. Ci racconta dell’apprensione dei suoi vigili urbani che lo vedono andar via in bicicletta e ci racconta di come lui continui a vivere del suo stipendio di  professore di ginnastica, quello di Sindaco lo conserverà accuratamente in un conto corrente e a fine mandato userà quelle risorse per realizzare qualcosa di utile per la città.

Lei è davvero convinto che l’utopia possa cambiare il mondo?
“Certo, lo ha già cambiato, l’utopia del passato è la realtà di oggi e quella di oggi sarà la realtà del futuro e quindi tu devi credere ogni giorno come se il cambiamento fosse oggi, e il cambiamento lo fai tu, con la coscienza, la consapevolezza che ci vorrà tempo e non importa se non vedrai i risultati. Immagina i padri della Costituzione, cattolici e comunisti, seduti ad un tavolo hanno mediato le loro posizioni ed hanno raggiunto un accordo comune che ha prodotto e produce ancora oggi i suoi risultati anche se loro non ci sono più”.

 

I nostri discorsi sono volati molto in alto, a tratti apparentemente avulsi dalla realtà, altre volte decisamente reali e han fatto sì che la nostra  chiacchierata andasse davvero molto oltre il tempo che ci eravamo prefissi di impiegare. Quasi un’ora dopo, il bussare imperioso di un suo collaboratore alla porta del suo studio riporta alla “realtà” la sottoscritta e gli altri due ospiti con me presenti nello studio.

Tornando nel salone, brulicante di Messinesi che reclamano la sua presenza, un solo pensiero attraversa la mia mente: “sì, è questo il sindaco che vorrei per la mia città!”.

 

 

 

 

 

 

 

Daniela Giuffrida

Autrice - International Member – GNS PRESS ASSOCIATION Scrittrice e Blogger freelance. Collabora con alcune testate on-line nazionali e siciliane. Attivista No Muos. Di cuore siciliano, instancabile attivista e documentarista delle lotte sociali, degli accadimenti della propria terra e non solo.

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